20 Giugno 2020 Smart working, riorganizzare il lavoro sulla fiducia.
Nei mesi scorsi mi sono già soffermata più volte sul tema di questo articolo, è vero. Ma è altrettanto vero che trovo quanto mai opportuno, in questo momento, riflettere su una (ri)definizione del tanto frainteso concetto di smart working.
Il periodo in isolamento forzato ha messo alla prova tutti, anche gli imprenditori: chi è riuscito a cogliere la sfida vedendone anche le opportunità, e non solo le difficoltà, uscirà da questo periodo con voglia di evolvere e predisposto a cogliere le occasioni future.
Durante la quarantena siamo andati in cerca di soluzioni pratiche e immediate per poter adattare il lavoro alla situazione, garantendo la sicurezza dei lavoratori e la soddisfazione dei clienti. Guanti, mascherine, turni alternativi, ma anche lavoro da casa, video-call e gestionali online. Abbiamo dovuto riorganizzare il lavoro di corsa, non sempre con risultati ottimali, ma cercando comunque di raggiungere degli obiettivi e mantenere attiva la produzione e le relazioni.
Ora che possiamo tirare il fiato almeno un po’, è arrivato il momento di tirare una riga e molto onestamente mettere in fila i punti più fragili emersi nelle aziende e valorizzare dall’altra parte i punti forti a cui si sono aggrappate.
Inevitabilmente la “ripresa” deve partire da una riorganizzazione, che può diventare anche una ridistribuzione dei carichi o un modo diverso di stare in ufficio, così come una vera e propria rivoluzione dei flussi di lavoro.
Come dicevo all’inizio, un tema sicuramente da prendere in considerazione è quello dello smart-working. Poche imprese in Italia hanno davvero utilizzato lo smart-working durante l’isolamento: la maggior parte di noi ha fatto telelavoro o ha semplicemente lavorato da casa, restando reperibili nell’orario d’ufficio, ma spesso anche andando a intaccare il tempo personale.
Lo smart-working è una grande risorsa, ma comporta un’evoluzione, una nuova cultura d’impresa che deve essere condivisa a tutti i livelli gerarchici di un’azienda. Il vero smart-working non si basa sul controllo, ma sulla fiducia e sul lavorare per obiettivi.
Ciò significa che una parte del lavoro deve essere delegato e lasciato sotto il pieno controllo di un collaboratore, così che costui possa gestirne tutto il processo, rispettando la flessibilità dei suoi orari e delle sue esigenze. Dall’altra parte questo comporta un grande sforzo anche dai collaboratori, che devono assumersi la responsabilità del lavoro e imparare a organizzarsi in autonomia le giornate.
Quando si crea un rapporto di collaborazione tra persone e aziende, questo deve nascere con la prospettiva di diventare un rapporto di reciproca fiducia. Se così non è, sarà difficile che sia destinato a durare. Se la fiducia è alla base di un’azienda, non vedo reali ostacoli nell’utilizzo dello smart-working, se non forse l’incertezza di un metodo che non si conosce bene. Come cambiano le nostre abitudini ed esigenze, così è giusto che cambi anche il lavoro. Trasformiamo i dubbi in uno stimolo per esplorare qualcosa che non conosciamo bene e cogliamo l’opportunità che ci viene offerta dalla tecnologia.
Ogni azienda ha però esigenze molto differenti: lo smart-working potrebbe non essere sempre la risorsa giusta da utilizzare e adottarlo solo per “moda” potrebbe essere anche controproducente. Ma è possibile capirlo solo in un percorso di valutazione oggettiva del proprio lavoro, anche con il supporto di un consulente aziendale, che può aiutarvi a esplorare diversi modi per organizzare il lavoro.
Tiziana Recchia