22 Luglio 2015 Massimo Ferro, del Gruppo K-Adriatica, incontra Cassiopea
L’agricoltura innovativa riparte dalle radici e si apre alla ricerca e al mondo
Massimo Ferro, imprenditore veronese, sposato con due figli. Dopo la laurea in Scienze Giuridiche a Padova, ha maturato una considerevole esperienza nelle istituzioni e negli enti economici, e oggi è al vertice del gruppo K-Adriatica, con sede a Loreo (Rovigo) e unità produttive in Italia e in Croazia. Sindaco di Caldiero, è stato presidente della Camera di Commercio di Verona, presidente dell’aeroporto Valerio Catullo e quindi di Assaeroporti, l’Associazione Italiana dei Gestori di Aeroporti. Già consigliere di amministrazione in Banca Popolare di Verona e in una società della Banca Popolare di Vicenza, ha ricoperto vari incarichi all’interno del gruppo Cattolica Assicurazioni. È stato presidente del Centro Estero delle Camere di Commercio del Veneto. In politica è stato deputato alla Camera tra giugno 2001 e maggio 2006, occupandosi di questioni regionali e di trasporti e telecomunicazioni. Ha presieduto l’organo di indirizzo dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona e fin dal 2009 è consigliere di amministrazione del Banco Alimentare del Veneto Onlus.
Innovazione, ricerca, sostenibilità, internazionalizzazione… l’agricoltura è così cambiata?
“Al contrario, mi piace pensare che stia riscoprendo le sue radici autentiche. In agricoltura si percepisce benissimo l’importanza dei piccoli gesti. Nel nostro caso, il cliente non è il consumatore finale, però la qualità del cibo dipende dalla semina e dal raccolto, e quindi dalla cura e dalla sensibilità per l’ambiente. Anche i risultati delle aziende, in ultima analisi, nascono dalla capacità di operare nel rispetto dei cicli della natura. Va detto che la chimica non è il nemico, perché bisogna soddisfare i bisogni primari come l’alimentazione: però è importante continuare con la ricerca e le tecnologie per mantenere un giusto equilibrio”.
Molti imprenditori del settore stanno ritrovando proprio il “sapore” della passione.
“Sono d’accordo e direi: finalmente. Dalla scelta della materia prima ai processi produttivi, dal confezionamento allo stoccaggio e ai rapporti commerciali e amministrativi, nel nostro lavoro la passione rimane sempre un valore aggiunto. Anche se è il fatturato a mostrare in concreto il successo e la crescita progressiva, con nuove acquisizioni e attività all’estero, il gruppo mantiene la sua impronta, con l’impegno diretto e l’attenzione per i collaboratori”.
Come è nata K-Adriatica, e che cosa ha reso vincente questo progetto d’azienda?
“Per affermarsi, un’idea d’impresa ha bisogno di un insieme di elementi e di combinazioni favorevoli. A me piace pensare che tutto ciò che siamo oggi sia scaturito, ancora alla metà degli anni Cinquanta, dall’incontro casuale fra mio padre Luigi Ferro e il suo socio Giovanni Toffoli. Due personalità differenti, con competenze professionali diverse, ma comunque due uomini ugualmente intraprendenti, che con entusiasmo e volontà hanno saputo far scoccare la scintilla che ha dato origine a un solido gruppo di livello internazionale”.
Come si tengono insieme tradizione e innovazione, crescita e valori senza tempo?
“Abbiamo raggiunto un fatturato consolidato di 160 milioni, ma manteniamo un’impronta familiare: non è una contraddizione, ma l’elemento distintivo che ci permette di crescere e innovare senza perdere di vista l’etica né le caratteristiche del settore. In fondo il nostro compito è nutrire la terra con i fertilizzanti – fosforo, potassio, azoto – che sono sostanze naturali, mescolandoli in proporzioni adatte ai vari terreni per il migliore sviluppo”.
È facile capire che cos’è l’innovazione nella meccanica… ma nell’agricoltura?
“In passato c’era un consumo massivo di fertilizzante, che richiedeva l’utilizzo di troppa acqua. Inoltre c’era il rischio che i nitrati filtrassero nella falda. Noi invece abbiamo scelto di puntare sulla micro-granulazione: un prodotto solubile in acqua e impianti a goccia che lo distribuiscono. Il minor impatto ambientale dipende anche dal processo produttivo: con il sistema della compattazione i composti vengono riuniti fisicamente, non chimicamente. Così facendo abbiamo contenuto i danni potenziali della produzione sul territorio: oggi c’è una considerevole riduzione delle acque reflue, ma anche meno fumi pericolosi”.
In Italia K-Adriatica ha due unità produttive, in Veneto e in Basilicata.
“La pianura padana è la più vasta e fertile area agricola d’Italia: proprio qui, a Loreo, vicino a Rovigo, nel 2000 abbiamo aperto la nostra sede centrale, specializzata nella produzione di fertilizzanti minerali complessi. Si tratta di un sito strategico per la movimentazione di materie prime e prodotti finiti, che ottimizza i tempi e i costi. Abbiamo un allacciamento ferroviario diretto dai nostri magazzini, siamo vicini al porto di Chioggia per il trasporto via nave e siamo ben collegati anche al tradizionale ma necessario trasporto su gomma”.
Nel Sud Italia invece opera Agroalimentare Sud: con quali obiettivi?
“Si dedica all’attività di trasformazione dell’orzo in malto in un’area vocata alla produzione agricola, a San Nicola di Melfi, e conta su una capacità di stoccaggio di 40 mila tonnellate. Sono inoltre attive linee per la produzione di farine arricchite in fibre solubili derivanti dalla lavorazione di particolari varietà di orzo, di orzo e malto tostato, di estratti di malto e farine destinate all’alimentazione zootecnica. La ricerca sui miglioramenti genetici delle specie vegetali è integrata con l’Ista, l’Istituto Sementi e Tecnologie Agroalimentari”.
Anche l’internazionalizzazione è diventata una delle vie maestre del vostro sviluppo.
“Siamo da sempre attenti al mercato internazionale e all’export, ma abbiamo fatto il salto di qualità nel 2010 aprendo Adriatica Dunav a Vukovar, in Croazia, uno stabilimento per la produzione di fertilizzanti minerali complessi. A fronte di un grande impegno finanziario e organizzativo, ci siamo insediati in un’area logisticamente eccezionale, che ci ha aperto le porte dei Paesi dell’Est e di tutta l’area balcanica, dal cuore della Slavonia verso Serbia, Ungheria e Bosnia Erzegovina, ma anche Romania e Albania. Esportiamo in tutto il mondo, dalla Turchia al Pakistan, dalla Grecia fino all’Africa: anzi, credendo nelle forti potenzialità dei Paesi africani francofoni, abbiamo aperto un ufficio commerciale in Marocco”.
Un successo che volete condividere con la collettività: dalla responsabilità sociale è nata la Fondazione K. In che cosa consiste, e quali sono i suoi progetti?
“Siamo convinti che una realtà come la nostra possa e debba generare valore anche per il contesto socio-ambientale in cui opera. La Fondazione K ha come suo obiettivo principale lo studio e la ricerca sull’utilizzo di risorse naturali per realizzare alimenti sani e prodotti agricoli sicuri nel rispetto dell’uomo e dell’ambiente, favorendo la produttività economica e la stabilità sociale. Inoltre tramite i suoi programmi la Fondazione K assiste i soggetti bisognosi e sostiene la creazione di pozzi d’acqua nelle zone più povere e svantaggiate, per favorire l’insediamento di un’agricoltura sostenibile. E per finire supporta la ricerca scientifica e medica, soprattutto nell’ambito delle malattie ematiche”.
Parlando di responsabilità sociale… il compito di un imprenditore è stare in azienda?
“No, io credo sia necessario “bene-fare” per “bene-essere”. Un imprenditore quindi deve condividere percorsi di crescita per contribuire al bene comune. Un impegno al quale non mi sono mai sottratto: sono stato sia presidente della Camera di commercio di Verona che dell’Aeroporto, e quindi parlamentare per una legislatura. Vorrei essere considerato un imprenditore che si è messo in gioco nell’attività pubblica: ho dato quel poco che avevo e ne ho ricavato più consapevolezza dei problemi e dei bisogni dell’Italia. Kennedy diceva infatti: non chiederti cosa il tuo Paese fa per te, ma cosa puoi fare tu per il tuo Paese”.
Vorrebbe vedere più impegno e responsabilità delle aziende nella società civile?
“Oggi vedo tanti imprenditori con il dito puntato contro lo Stato. Ma ricordo che in politica quando si lascia un vuoto qualcuno lo riempie… Non bisogna chiamarsi fuori. Penso a una parabola forte come quella dei talenti sprecati: so quanti imprenditori siano impegnati nel sociale, nelle categorie, sostengano la cultura, lo sport. Ma quanti “peccano” di omissione perché “la politica è sporca”? Allora dico loro: entrate nei partiti per migliorarli, anche se so bene che ti usano, ti spremono poi ti buttano. Ma l’alternativa è lasciare l’Italia in mano a chi ragiona con la pancia o rinunciare a uno sviluppo equilibrato, sostenibile, solidale. Un tempo a formare e selezionare la classe dirigente c’erano i sistemi di rappresentanza, le categorie, gli ordini, i partiti, la chiesa. Oggi il mondo è più interconnesso, ma… indefinito. Spero che gli imprenditori, soprattutto i giovani, sappiano fare la differenza. Lo credo”.