20 Ottobre 2014 Beatrice Dal Colle, di Dal Colle Industria Dolciaria, incontra Cassiopea
La crisi colpisce anche il settore alimentare, ma le imprese si difendono grazie a un mix di tradizione e innovazione. Lˈobiettivo è dare un futuro allˈindustria e al lavoro italiano.
Piccole e medie aziende travolte dalle difficoltà, molte chiudono impoverendo un comparto unico. Le risposte? Nuovi rapporti con Gdo e credito, internazionalizzare senza trascurare il territorio, investire su prodotti e tecnologie… e soprattutto coltivare una visione del futuro.
Come va lˈindustria alimentare? La situazione sembra meno buia che in altri comparti.
“No, anche se fino ad ora lˈalimentare ha potuto presentare dati positivi, ed è stato colpito dalla crisi dopo altri settori, soprattutto negli ultimi tre o quattro mesi, non significa che non debba affrontare le stesse difficoltà di altri segmenti.
Non credo che adesso la gente abbia maggiori problemi a comprare da mangiare: una contrazione dei consumi cˈè da tempo, solo che ora se ne parla. Anzi, se ne parla ancora poco, forse perché in sofferenza sono le imprese di medie dimensioni e la disoccupazione sembra meno grave. Sembra”.
E invece non è così. “Certo che no. Quando una piccola azienda chiude lasciando a casa 50 persone, il dramma è ugualmente terribile: sono crisi che non fanno rumore ma impoveriscono tutto il settore, colpendo lˈindotto, i fornitori, le cooperative di servizi, i trasporti, la logistica. Se guardo al comparto nel dettaglio, la crisi si sente eccome. A livello nazionale sono state colpite ben sei aziende, tutte concentrate nel nord Italia: e parlo di aziende che fatturano dai 5 ai 15 milioni, non piccolissime. Reggono meglio, invece, quelle più grandi, più strutturate”.
Quindi siamo di fronte a un nuovo modello di competizione.
“Sì. Da un lato il mercato ha visto ridursi i volumi, dallˈaltro ci sono meno competitor: per fare un esempio, nel segmento delle merende spiccano Barilla, Ferrero, Bauli e solo altre tre o quattro. Un altro problema da affrontare seriamente resta il rapporto con la grande distribuzione, anche se la crisi ha appianato molti punti di contrasto: voglio dire che piano piano la Gdo si sta rendendo conto di dover lavorare “con” le aziende e non “contro”. Ma è un percorso lento: cambiare mentalità e approccio non è automatico”.
Insomma, le relazioni stanno migliorando ma è necessario un cambio di passo.
“Lˈimportante è collaborare per trovare una via allo sviluppo e dialogare sui punti comuni. Bisogna aprirsi reciprocamente le porte per competere insieme, condividere le procedure e le modalità operative, non arroccarsi in difesa delle proprie posizioni. Crescere insieme è importante, ma è difficile scardinare lˈabitudine di tirare il collo ai fornitori: forse pensano che abbiamo risorse infinite e grandi margini… magari cinquantˈanni fa, ora non più”.
Tra gli effetti negativi della crisi le imprese lamentano spesso la difficoltà di costruire un dialogo con il mondo della finanza.
“Anche i finanziamenti sono un aspetto delicato: le banche fanno molta fatica a concedere credito. Riuscire a ottenerlo non è impossibile, ma richiede impegno ed efficienza: bisogna presentare business plan sostenibili e tempi certi di rientro dallˈinvestimento… tutto è più lento, complicato, rigido anche a causa delle regole di Basilea che non valutano i progetti e le innovazioni ma solo i numeri. Il problema per gli imprenditori è che non esiste un rating per le idee e lo sviluppo! Però non ci arrendiamo e proviamo a tradurre la nostra visione e il nostro istinto in un business reale con numeri attendibili. Ma mentre noi guardiamo alla lunga distanza, ai nuovi mercati, a quello che faremo fra un anno, la banca guarda i bilanci di un anno fa e ci valuta partendo da una realtà che non esiste più”.
State subendo lo stesso stress da performance che colpisce le società quotate, costrette a concentrarsi sui risultati immediati, i bilanci trimestrali…
“Chi vuol uscire dal tunnel deve guardare allˈoperatività quotidiana ma anche progettare il futuro, essere ottimista, stimolare la propria squadra a pensare al domani. Tutto il mondo delle istituzioni invece guarda indietro: non ci sono mai certezze, neanche sulla tassazione o sulle materie prime, si specula sul burro, il grano e sulle uova come se fossero diamanti o petrolio. Così dobbiamo chiudere oggi i contratti per il 2016 senza un paracadute per le variazioni che potranno esserci in futuro… è come prevedere lˈimprevedibile!”
Crisi a parte, qual è la formula vincente per conquistare il pubblico?
“Non bisogna mai dimenticare che in Italia e allˈestero la strategia migliore non è mai solo il prezzo, ma il rapporto tra qualità e prezzo. Se si mantiene questo equilibrio il pubblico si affeziona al prodotto e la distribuzione lo sostiene, se no restano poche leve competitive. Ma per diventare davvero unˈeccellenza occorre soprattutto una squadra forte, che creda e operi per crescere con una visione comune. Questo è un aspetto che voglio sottolineare: con lˈinsostituibile presenza di mio fratello Alvise abbiamo costruito un team forte e unito, che si impegna e fa passi avanti ogni giorno per il bene dellˈazienda”.
Oggi si parla giustamente molto di innovazione. Nel vostro settore viene da pensare che invece sia apprezzato “il gusto di una volta”.
“Lˈinnovazione conta molto ma dipende dai segmenti ai quali ci si rivolge. Ci sono prodotti tipici della tradizione dove occorre mantenersi fedeli alla propria storia: le novità servono soprattutto per farsi conoscere, ma senza trascurare i prodotti tipici. In altri campi, come nelle merende, invece, la creatività è tutto: non possiamo continuare a proporre gli stessi prodotti di 50 anni fa, perché il pubblico è cambiato e ci sono nuove esigenze alimentari, equilibri salutistici, richiesta di prodotti sani, senza conservanti e coloranti se non naturali. Di qui la crescente attenzione verso le richieste e le aspettative dei consumatori”.
E nel vostro caso specifico come state affrontando la domanda di novità?
“Abbiamo da poco acquistato una nuova linea di produzione, la settima, che ci consentirà di produrre merende a base di pan di Spagna, oltre ai tre segmenti attuali che serviamo, e cioè le merende a lievitazione naturale come i pandorini, quelle sfogliate come i croissant e quelle “colate” come i muffin. Lˈultima linea si basa su una tecnologia nuova rispetto alla nostra tradizione: se vogliamo entrare in un segmento per noi ancora tutto da scoprire è perché crediamo nella diversificazione e intendiamo seguire strade inedite”.
Questo salto di qualità è stato un percorso veloce? E che cosa vi aspettate?
“No, la decisione è stata preceduta da un lungo periodo di studio e di analisi del mercato, durato un anno e mezzo, al quale ho partecipato insieme ad Alvise e al nostro staff. Inoltre la scelta di acquisire la linea ha comportato un investimento di diversi milioni di euro non solo nei macchinari e in ricerca e sviluppo, ma per fare spazio in azienda, riprogettando il layout con opere murarie nuove. E assumeremo altro personale, creando nuovi posti di lavoro. Come mercati di sbocco per i nuovi prodotti non pensiamo solo allˈItalia ma soprattutto allˈestero, intercettando i gusti del pubblico internazionale”.
Un prodotto della tradizione è legato al territorio: come vi confrontate con lˈestero?
“Siamo già presenti un poˈ in tutto il mondo, abbiamo investito sulla visibilità, partecipato a diverse fiere sia da soli che con lˈIce e la Camera di Commercio. Il mercato migliore resta lˈEuropa, che è più vicina ai gusti tradizionali italiani: va bene in Spagna, Francia, Germania e Austria, un poˈ più difficile competere in Inghilterra. Ma siamo attenti anche agli Stati Uniti, al Canada e allˈAustralia. Lˈexport è del 10%, ma ci sono margini di miglioramento. E andare allˈestero non è sempre facile: bisogna rispettare regole molto ferree, conoscere il mercato e adattare i prodotti e le etichettature ai mercali locali”.
Proprio il cibo è lˈargomento clou dellˈExpo che si svolgerà a Milano lˈanno prossimo.
“Mi lusinga, onora e affascina che uno dei temi toccati dallˈExpo 2015 sia diretto proprio allˈalimentare. Condivido la scelta, perché lˈalimentare fa parte della cultura di un Paese, della sua tradizione e del patrimonio di sapori e profumi che ricordano la nostra storia”.
Ma la globalizzazione è la risposta a tutti i problemi? Cosa resterà dellˈItalia?
“Lˈinternazionalizzazione è complicata soprattutto per le piccole e medie imprese, perché richiede investimenti e competenze non sempre disponibili: se penso solo a quanto costa organizzare un piccolo stand in una fiera… Il vero problema però è crescere e svilupparsi in Italia. Non vorrei che le imprese fossero costrette a emigrare come i giovani, passeremmo dalla fuga di cervelli a quella delle aziende. In pochi anni abbiamo perso tanti imprenditori e noi stessi per la nostra nuova linea abbiamo ricevuto offerte da altri paesi. Ma la nostra scelta è di restare qui a difendere lˈindustria e lˈoccupazione italiana sul territorio. Se le nuove generazioni non troveranno qui il loro futuro, dopo di noi non rimarrà nulla”.
Stefano Tenedini