3 Ottobre 2013 Thoma Ambrosi, di Tormec Ambrosi e Alukeep, incontra Cassiopea
Quando in azienda la serenità e la condivisione spazzano via anche le nebbie dellˈincertezza.
Tecnologie e innovazione sono importanti, ma la qualità nasce dalle persone e dalla forza della visione strategica. Ecco le strategie giuste per far concorrenza addirittura ai tedeschi.
Lˈinternazionalizzazione è considerata una risposta forte alla crisi, ma il Sistema Italia con le sue lentezze e i suoi handicap rende difficile alle imprese percorrere questa strada. Eppure competenze, organizzazione e affidabilità possono fare la differenza e convincere i mercati.
Una delle strade che le aziende devono percorrere per uscire dalla crisi si dirige senzˈaltro verso lˈestero. Ma internazionalizzarsi non sembra affatto così semplice…
“Infatti, è tuttˈaltro che un percorso facile. Guardi, mi viene da risponderle che mentre dobbiamo senzˈaltro aprirci ai mercati stranieri, è come per un cavallo correre con lˈhandicap… Perché noi italiani ci portiamo dietro una pessima fama: clienti e partner allˈestero sospettano che le nostre aziende siano di scarsa qualità, lente, inaffidabili…”
Una situazione frustrante per gli imprenditori che ce la mettono tutta per tenere la testa alta.
“Certo che lo è: siamo demoralizzati, delusi, scoraggiati. Dobbiamo rispondere di colpe non nostre. Potrei raccontare anchˈio un esempio: abbiamo rischiato di perdere un cliente importante a causa di mancanze altrui. Così, davanti ai pessimi risultati portati da altri italiani, hanno chiesto a noi di dimostrare cosa sappiamo fare come azienda… Lˈesatto contrario di fare squadra: a noi il sistema Paese non porta benefici ma ombre, per lˈincapacità di altri, privi di know how e progettualità”.
Ma lo svantaggio di cui parla è di tipo organizzativo, tecnologico… o forse politico, etico?
“Inutile girarci intorno, è un poˈ di tutto questo insieme. Allˈestero degli italiani vedono soprattutto i difetti del sistema produttivo. Ci ritengono poco sviluppati sul piano delle tecnologie, anche se poi andando a guardare nel dettaglio territori come il Veronese, tutto il Nordest, ospitano imprese di grande qualità in costante miglioramento sia per la qualità dei prodotti che dei processi. Peccato che questo rimanga sullo sfondo, seppellito dallˈincompetenza del grande circo italiano”.
Solo colpa dei politici e dei burocrati? O anche le imprese hanno qualche responsabilità?
“Di sicuro i nostri difetti li abbiamo anche noi, leader delle imprese. Per esempio non siamo tanto bravi a fare promozione a noi stessi – o non ci teniamo abbastanza – e a dare la giusta evidenza alle nostre eccellenze. Poi come tutti gli italiani siamo un poˈ autolesionisti: spesso subiamo in silenzio o peggio assecondiamo le battute, i pareri negativi, tendiamo a mettere in evidenza i problemi invece delle capacità, come ipocondriaci che mettono in primo piano le malattie!”
Beh, in effetti qualche problemino lˈItalia e lˈindustria ce lˈhanno, e non da oggi…
“È vero, ma la maggioranza delle imprese, degli imprenditori e dei lavoratori hanno voglia di fare e di mettersi in gioco oggi più che mai, proprio perché siamo allˈangolo. È il Paese nel suo complesso che non sta agevolando i propri cittadini, che sono costretti a fare sforzi sovrumani senza ricevere alcun supporto. E non dico solo economico, ma nemmeno psicologico, morale… Con unˈinversione di tendenza potremmo fare molto e ricominciare a distribuire sul territorio le ricchezze prodotte. Vorremmo che nella percezione della gente e del mercato si respirasse un clima più favorevole e lo spread non influenzasse le imprese o la vita di tutti i giorni. Ma di aziende non si parla mai, tutti i riflettori si accendono sulla buona tavola e i cattivi governi, la bella moda e la brutta politica…”
Insomma, bisognerebbe fare una bella pulizia per veder brillare le imprese di successo.
“Senzˈaltro scontiamo le nostre carenze anche dal punto di vista della comunicazione dˈimpresa. Si vedono viaggiare solo i grandi brand e ci dimentichiamo di promuovere le tantissime aziende che ogni giorno sotto il silenzio di tutti fanno un passo avanti sulla strada dellˈalta tecnologia. Anche la nostra azienda, sia pure di piccole dimensioni, realizza per esempio prodotti di altissima qualità e li esporta in decine di mercati, tutti molto esigenti. E quando penso che i nostri partner preferiscono noi anche agli stessi fornitori tedeschi – a pari qualità possiamo vantare prezzi minori – non posso trascurare quanta fatica facciamo a combattere i pregiudizi e a far risaltare le nostre potenzialità”.
E come se ne esce? Lei ha una “exit strategy” da questa crisi di credibilità e visibilità?
“Mi lasci rispondere con una battuta: io non mi chiedo “allora cosa si fa”, lo faccio e basta, tutti i giorni e a tutte le ore. Da un certo punto di vista è come se ci fossimo allineati a unˈaltra Italia… quella che vogliamo. E lo facciamo trasferendo idee, energie e capacità: dagli imprenditori ai nostri collaboratori, dallˈazienda al territorio e ai mercati internazionali. Vogliamo trasmettere passione e competenze a chi condivide nel gruppo questi valori forti. In squadra diventa tutto più semplice, si assegnano i ruoli giusti e le mansioni strategiche, si cresce insieme ai clienti, arrivano i sostegni per gli investimenti, perfino il credito ricomincia finalmente ad ascoltare e a dare una mano. Almeno a chi ha un progetto sostenibile, la tecnologia e lˈorganizzazione, naturalmente”.
Ma queste opportunità non sono alla portata solo dei più grandi?
“No, questo è un falso problema. Noi come dimensioni dˈimpresa siamo un microbo, eppure in una logica imprenditoriale, che prescinde dai numeri, abbiamo comunque definito un piano industriale che parla del nostro futuro, della nostra visione. E anche questo è motivo dˈorgoglio: ci ascoltano e ci concedono il credito necessario allo sviluppo. Qualità, innovazione e internazionalizzazione sono le parole chiave per guardare con più fiducia al futuro: anzi, se si vuole lavorare allˈestero la qualità stessa è una precondizione. Non solo come prodotto o nella famosa “tolleranza zero” che il cliente ci richiede, ma come anche qualità della vita e dellˈambiente lavorativo”.
Davvero questi aspetti umanistici hanno una loro importanza oggi in una piccola azienda?
“Glielo assicuro. I collaboratori soddisfatti del loro stile di vita esprimono il massimo delle loro potenzialità, e il ritorno produttivo è assicurato. Mi riferisco a serenità, a ruoli chiari e coordinati, a tanta formazione per tutti – a partire dai vertici – per imparare a delegare e stabilire i ruoli non per persone ma per funzioni. Tutto ciò innalza la qualità complessiva del lavoro, il cliente è soddisfatto e ci porta con sé, ci fa crescere sui mercati più competitivi. Parliamoci chiaro, nessun committente si avvicinerebbe allˈItalia senza una garanzia di qualità. Chi oggi, dopo la crisi, assicura prodotto e servizio al top può permettersi di competere: gli altri li abbiamo visti regredire e perdersi”.
Ma se la qualità non si vede dai millesimi di millimetro… allora come la calcolate?
“Io la misuro con i sorrisi quando i miei collaboratori mi guardano negli occhi. Quando unˈazienda vive con spontaneità, non cˈè limite al risultato che può ottenere. Posso tornare allˈinnovazione? Mio padre si inventava nuovi metodi per rendere più produttive le proprie attività, quindi io sono rimasto convinto che lˈinnovazione venga da dentro, dal cuore. Devo svegliarmi con la voglia. Per questo odio i lacci burocratici che mi frenano, non mi piace copiare e seguire la strada degli altri, a me piace sovvertire il modo di pensare, cerco nuove angolature e visioni, finché non emerge lˈidea innovativa che è legata sì al prodotto, ma prima di tutto deve divertirmi e farmi vivere bene”.
Una ricetta davvero stimolante. Come la mette in pratica in azienda?
“Prima di tutto cercando di trasmettere lˈentusiasmo e attorniandomi di giovani. Negli ultimi anni abbiamo aumentato i dipendenti del 25 per cento, tra cui molti ragazzi ai quali attacco il contagio della passione. Ma non dimentico che lˈinnovazione si nutre anche di investimenti e di progetti, ragionamenti evoluti che devono diventare unˈabitudine di tutti e che spesso ci avvantaggiano sui competitor. Riprendendo lˈaccenno di prima alla promozione, questi sono valori forse difficili da comunicare, ma i risultati emergono anche dopo anni, quando il cliente si accorge che non può più fare a meno di noi… e allora arrivano direttamente, come se ci avessero finalmente trovati”.
Le tecnologie sono tutto? Nel mondo dellˈinnovazione sembrerebbe di sì.
“Per far crescere davvero unˈazienda potenzialmente interessante le tecnologie non bastano, ci vuole il modo giusto per applicarle. Le nostre aziende questa possibilità ce lˈhanno, forse grazie al famoso “genio italico”, alla creatività, alla presenza intelligente dellˈuomo dietro la macchina. In un momento di crisi la scelta dei mezzi, il saper tenere tempo e costi sotto controllo, lˈutilizzo corretto delle risorse tecnologiche contano molto, inutile negarlo: ma il vero valore aggiunto lo portano la scelta degli obiettivi, una visione strategia e il capitale umano. Su questo non si discute”.
Se cˈè una morale, o forse la ricetta giusta… qual è?
“Cogliere le opportunità dovunque si trovino ed essere consapevoli che nessuna attività è semplice… quando lo sembra dietro lˈangolo è nascosto un muro! Scherzi a parte: creare un gruppo allineato con la visione dellˈimprenditore e non porsi limiti, se non per superarli”.
Stefano Tenedini